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Calcestruzzi Ericina Libera

La storia di questa cooperativa inizia nel 1991, quando un gruppo di pseudo-imprenditori rilevò un’azienda di calcestruzzo già esistente acquistando i relativi macchinari. Fra i dipendenti allora c’era anche Giacomo con altri colleghi. L’azienda si chiamava Calcestruzzi Ericina SRL, riconducibile al capo mandamento di Trapani (Virga). Dal 1991 al 1996 l’azienda lavorò sotto gestione mafiosa a insaputa dei lavoratori.

Nel 1996 arrivò il sequestro preventivo dell’azienda. I cancelli furono chiusi per un breve periodo, per poi riaprire nel settembre dello stesso anno: sarebbe stato l’inizio dell’amministrazione giudiziaria, che si sarebbe protratta fino al 2000.

Nel 2000 i diversi gradi di giudizio appurarono la radice mafiosa della gestione aziendale, preludio della confisca definitiva. Vennero nominati i nuovi amministratori dal demanio e iniziò un percorso di recupero in piena continuità con la lettera e lo spirito della legge n. 109/1996. In quel momento, però, l’azienda non era ancora in grado di produrre materiali di qualità e quindi dal 2000 al 2004 si iniziò a pensare a processi di miglioramento produttivo. Si partecipò a un bando pubblico e nel frattempo si avviò la collaborazione con Libera e Legambiente che mise in contatto i lavoratori con imprenditori del nord per installare nuovi macchinari ed avviare una nuova filiera produttiva oltre quella della produzione del calcestruzzo.

Nuovi impianti furono inaugurati nel 2009 grazie alle risorse accumulate dall’amministrazione giudiziaria, a finanziamenti ottenuti da istituto di credito (Unipol Banca concesse un mutuo di 700.000,00 di euro), dall’aumento di capitale sull’Ericina Srl da parte dell’amministrazione giudiziaria, e dal finanziamento pubblico.

Prima di avviare i lavori, nel 2008 viene costituita la cooperativa Calcestruzzi Ericina Libera, che aderisce anche a Legacoop: 30.000,00 euro capitale sociale costituito con parte del TFR dei 6 soci fondatori.

Nel 2011 ai soci della cooperativa viene dato in gestione lo stabilimento con un contratto d’affitto oneroso da parte dell’Agenzia nazionale dei beni confiscati oltre l’onere del pagamento del mutuo (il mutuo che l’azienda di Stato aveva sottoscritto con l’istituto di credito è il cui onere viene accollato alla cooperativa, che lo paga in nome e per conto dell’Erario).

In seguito la cooperativa ha ottenuto un finanziamento destinato ad aziende sottoposte a confisca da parte del MISE per 700.000,00 euro da restituire in 10 anni utilizzato dalla cooperativa in parte per l’estinzione totale del debito che la s.r.l. (azienda confiscata) aveva sottoscritto con l’istituto bancario come mutuo bancario, e in parte per acquisto di nuovi automezzi in sostituzione di quelli ormai obsoleti assegnati con il contratto di affitto.

“Quello che ci rammarica è che tutti i finanziamenti elargiti dalla CE con partecipazione dello Stato Italiano tagliano fuori le aziende, perché benché gli assi sono generali e non si fa distinzione fra immobili e aziende ma enunciano solo la rivalutazione dei beni sequestrati e confiscati, ma nella loro elargizione gli stessi finanziamenti vengono destinati agli enti territoriali, assegnatari di beni facenti parte poi del patrimonio indisponibile, ambito dove le aziende non entrano e da qui l’esigenza di chiedere mutui con le difficoltà che gli stessi vengono non concessi per mancanza di garanzie. Ci sono beni confiscati di serie A e di serie B.? Perché i beni confiscati devono essere esclusi, soprattutto quando si va a rivalutare un bene che è di proprietà dell’Ente Stato?”

La domanda retorica di Giacomo non può che restare senza risposta. Il progetto “Il Calcestruzzo della legalità” elaborato otto anni fa è stato lasciato in sospeso e sette delle aziende coinvolte nel frattempo sono morte: “Ora è inserito nelle linee guida dell’agenzia nazionale il concetto di fare rete e quel progetto ne era un chiaro esempio. Si tratta di un danno enorme dal punto di vista sociale, oltre che economico. Lasciando morire le aziende e abbandonando i macchinari al deterioramento, si fa un favore alle mafie che acquistano per riflesso un potere d’immagine maggiore. Le cose si possono fare, ma occorre farle velocemente e assumersi le responsabilità, anche di decretare un diniego.

Durante la pandemia i soci della cooperativa hanno usufruito della cassa integrazione, e non hanno subito particolari scossoni. Cemento e carburante, però, sono schizzati alle stelle. Malgrado queste recenti difficoltà la cooperativa non ha licenziato nessuno: “insieme andiamo avanti”, dice con voce ferma Giacomo.

Ora i soci sono in 8, oltre 5 dipendenti e nel tempo si attuato quasi un cambio generazionale tra chi è andato in pensione e i giovani che spesso iniziano la loro prima esperienza lavorativa in un ambito (quello dell’edilizia) dove la criminalità organizzata pone spesso degli ostacoli, ma la determinazione di questi giovani avvalla sempre più la tesi che INSIEME le cose posso cambiare, ad iniziare dal fare la propria parte e decidere da che parte stare. Sono state ampliate le qualifiche del personale, orgogliosi di avere nominato amministratore delegato della cooperativa un ingegnere donna.

Ad oggi si può affermare che la storia della cooperativa è la storia del NOI e testimonia che esiste l’antimafia dei fatti e non solo quella delle parole.