Fenix Pharma
“Non ci sono elementi di preoccupazione che riguardano aspetti occupazionali, salvo imprevisti di grossa entità che esulano dalle previsioni aziendali”. Così recitava la nota emessa il 19 gennaio 2011 dalla multinazionale farmaceutica Warner Chilcott per rassicurare i dipendenti, dopo i deludenti risultati commerciali riportati oltreoceano. Pochi mesi dopo, in piena estate, i vertici della multinazionale decisero di abbandonare il mercato europeo, riducendo in cenere la dignità e la speranza di centiana di lavoratori e lavoratrici: 500 tagli al personale, di cui 131 nella succursale italiana a Roma, con sede in zona Eur.
Ironia della sorte, appena due anni prima il gruppo – che peraltro aveva goduto di un finanziamento bancario per l’acquisizione – aveva annunciato di volersi espandere in Europa. Secondo le ricostruzioni postume dell’accaduto, il cambio di rotta sarebbe stato dovuto alla tardiva constatazione della scadenza del brevetto di un farmaco. Fra i lavoratori e le lavoratrici a rischio di perdere il loro lavoro l’ipotesi prevalente è un’altra: poco dopo la crescita di valore registrata dalle azioni della multinazionale quotata in borsa (da 15 a 24 dollari), i pochi soci che detenevano la maggioranza delle stock options procedettero alla capitalizzazione.
I sindacati si mobilitarono in difesa dei lavoratori coinvolti e ci furono anche interpellanze parlamentari. Un dirigente della Regione Lazio si impegnò anche formalmente a promettere l’erogazione di un fondo a sostegno di ogni lavoratore che si fosse impegnato a recuperare l’azienda, anche se poi la promessa si risolse in un nulla di fatto.
Il nome prescelto da 41 degli ex dipendenti per dare vita alla prima cooperativa farmaceutica in Italia – Fenix Pharma – allude esplicitamente all’araba fenice che risorge dalle proprie ceneri: Inizialmente a settembre 2011 fu scelta la formula della società cooperativa a responsabilità limitata fondata dai 5 soci fondatori, per poter procedere con l’autorizzazione alla commercializzazione di un farmaco; due mesi dopo, in assemblea fu poi deliberata la trasformazione in società cooperativa per azioni con l’ingresso di tutti gli altri soci
Sebbene sia stata spesso accostata a un WBO, quello della Fenix Pharma è un classico caso di start up cooperativistico: nessun ramo d’azienda venne affittato o acquistato dalla cooperativa, che però assicurò a quei lavoratori e lavoratrici di dare continuità al loro lavoro e di valorizzare le competenze professionali acquisite. Ogni socio investì 10.000 euro nella sottoscrizione di azioni della cooperativa grazie ai fondi della mobilità anticipata. Disorganizzazione istituzionale volle che, appena due anni dopo, l’INPS iniziasse a chiedere indietro le somme anticipate: alcuni soci si opposero appellandosi alla normativa vigente e furono sanati, altri entrarono in contenzioso con INPS
Nella fase di avvio della cooperativa Legacoop svolse un ruolo cruciale: oltre a supportare i soci nella stesura dello statuto e del piano industriale, mise in contatto i soci della cooperativa con Coopfond e con CFI, che erogarono finanziamenti a copertura del capitale sociale. Dopo 2 anni, venne richiesto un finanziamento ulteriore a Coopfond e CFI per il consolidamento dello sviluppo aziendale. Ad oggi è stato restituito tutto a entrambe. Con i soldi raccolti venne raccolto il capitale utile all’avvio della cooperativa, che poté contare sulle competenze manageriale e commerciali di alcuni soci fondatori. La Fenix Pharma oggi opera nella distribuzione di medicinali, dispositivi medici e integratori alimentari, in diverse aree terapeutiche (gastroenterologia, osteoarticolare, otorinolaringoiatria), distinguendosi per l’elevato standard qualitativo dei prodotti e per la tutela dell’acquirente.
Per quanto pionieristica e azzardata potesse sembrare, l’idea si è rivelata vincente nonostante le difficoltà iniziali. Nel 2012 si registrò subito una perdita iniziale, dovuta agli alti investimenti sostenuti per l’avvio dell’attività, malgrado a tutti fosse applicato un contratto iniziale cococo a soli 1000 euro. Il terzo anno fu raggiunto il pareggio, poi finalmente un’impennata del fatturato: dopo altri due anni negativi, la Fenix ha registrato una crescita continua grazie al cambiamento del modello di business abbracciato inizialmente: i farmaci generici venduti fino a quel momento sono ora gestiti in collaborazione con un partner commerciale, mentre la cooperativa si è specializzata sulla commercializzazione di dispositivi medici e di integratori. Grazie a questa nuova impostazione, oggi la cooperativa può contare su un fatturato proprio di circa 8 milioni e oltre 3,2 mln di patrimonio netto ed un utile dopo tasse del 9% circa.
Il settore farmaceutico è tra quelli che meno hanno risentito dell’impatto dell’emergenza pandemica. Durante i mesi del lockdown la cassa integrazione ha consentito di sopperire all’impossibilità di continuare l’attività. Ad Aprile e maggio 2020 si è registrato un drastico calo delle vendite (-70%), subito controbilanciato da una rapida ripresa. Nonostante le difficoltà incontrate durante il Covid, il fatturato del 2020 è stato chiuso in positivo. Salvatore Manfredi, AD della cooperativa, era uno dei cinque ex manager dell’azienda che si impegnarono nella creazione della cooperativa: oggi figura tra i primi 100 top manager di Forbes Italia nel 2021.
I rincari delle forniture si fanno sentire solo indirettamente, con aumenti intorno al 5-8% sui costi di produzione dei prodotti, dal momento che direttamente sono i siti produttivi dei farmaci a subire le principali conseguenze. Da un punto di vista organizzativo interno, la cooperativa si è strutturata in maniera tale da minimizzare gli ostacoli e da massimizzare le opportunità connesse a questo modello di organizzazione aziendale. Quando ci sono scelte strategiche da compiere, si fa sempre un passaggio in Cda e in assemblea.
Da questo punto di vista la gestione della cooperativa è più macchinosa di una Srl, ma i vantaggi non sono limitati semplicemente agli sgravi (il rispetto della mutualità prevalente e l’obbligo di creare riserve legali ed indivisibili più alte rispetto ad altre forme di azienda, per dare continuità intergenerazionale all’attività, consente di pagare un’Ires più contenuta): la cooperativa mette tutti i soci nelle condizioni di sentirsi parte attiva dell’impresa, realizzando nei fatti ciò che in molte aziende dev’essere ottenuto artificiosamente.
Al momento i soci sono 42, a cui si aggiungono 5 dipendenti e 44 agenti commerciali. Per favorire in maniera oculata l’ingresso di nuovi soci la cooperativa può deliberare su richiesta dei singoli di ricorrere alla figura del “socio speciale” o del “socio in prova”, che paga un terzo della quota sociale standard: dopo un periodo di osservazione, se il contributo mutualistico e i comportamenti sono in linea con quello dei soci, la persona può diventare diventa socio/a ordinario/a e pagare il resto della quota.
Non potendo contare sulla redistribuzione degli utili né su un’alta redditività delle azioni, le prestazioni mutualistiche dei soci vengono incentivate da una politica dei ristorni che possono deliberati in quota capitale o in un premio economico. Per Manfredi la cooperativa non deve servire solo a mantenere i livelli occupazionali, ma può diventare un modello più democratico di produzione di valore economico, proprio perché gli utili non sono il fine ma uno strumento della realizzazione di altri obiettivi, a cominciare dal rispetto del lavoro e dalla qualità della vita di chi lavora in cooperativa.