Greslab
La storia della Greslab inizia, come quella della maggioranza delle imprese recuperate del nostro paese, da una crisi aziendale. Nel caso della Ceramica Magica Spa di Scandiano (Reggio Emilia), un’azienda specializzata nella fabbricazione di ceramiche, la crisi era dovuta al calo vertiginoso della domanda a seguito della crisi economico-finanziaria del 2007: come mi racconta Antonio Caselli, attuale Presidente della Greslab, “in azienda erano impiegati 150 dipendenti con un fatturato pari a 50 milioni di euro, grazie soprattutto alle esportazioni sul mercato estero. Le esportazioni si sono bloccate in seguito alla crisi e l’azienda non ha più retto”.
La Ceramica Magica venne messa in liquidazione nel 2008 e scorporata in due unità: una delle due, quella commerciale, in seguito sarebbe sarebbe stata venduta, ridimensionata e ridotta. Ironia della storia vuole che l’altra unità, quella produttiva in cui vennero coinvolti 60 lavoratori e lavoratrici, allora venisse qualificata come “bad company”, malgrado proprio da questa sarebbe iniziata un’altra storia, fatta di determinazione, costanza, riscatto e solidarietà.
Quei 60 lavoratori continuarono a produrre per la società in concordato (allora si chiamava Ceramica Optima), sugli ordini emessi dell’altra unità commerciale. Alla luce della domanda ridotta, però, dopo 2 anni il commissario del tribunale decise di chiudere. Era il gennaio del 2010: tutte le 60 persone vennero messe in cassa integrazione straordinaria. Nel frattempo iniziavano ad arrivare dei privati interessati ad acquisire l’azienda. Fortuna volle che una parte dei lavoratori entrò in contatto con il dott. Labanti, un commercialista locale che in precedenza aveva già contribuito alla nascita di un’altra impresa recuperata (l’Art Lining): fu lui a proporre ai lavoratori e alle lavoratrici di essere pagato per il proprio lavoro soltanto se l’operazione della cooperativa fosse andata in porto.
La cooperativa nasce nel 2011 su iniziativa di 30 soci e 5 dipendenti (oggi i soci sono 50 e i dipendenti 32) su sessanta ex dipendenti che decidono di investire la loro mobilità (14.000 euro a testa). L’attività riprese dal 1 giugno, anche grazie al supporto di Legacoop e dei sue soci finanziatori entrati a far parte del CdA della cooperativa: Coopfond e CFI (600.000 euro per 7 anni).
Questa sintesi estrema, però, non rende giustizia alla difficoltà del processo di recupero che dovettero affrontare i fondatori della cooperativa. In questo interregno temporale fra la chiusura della Ceramia Optima e la fondazione della Greslab i sindacati non furono particolarmente presenti: “La CGIL ceramica era contro ogni ipotesi di Wbo, soprattutto nelle prima fase in cui si sperava nell’acquisto di un nuovo imprenditore. Le cose cambiarono solo verso la fine, nel 2011, quando la cooperativa era già stata costituita, si era capito che non sarebbero arrivati altri imprenditori e c’era l’accordo per l’affitto degli impianti e dello stabilimento. L’ultimo tassello riguardava proprio l’accordo sindacale: in cambio della firma dell’accordo, il sindacato pose la condizione si trovasse una soluzione per tutti”.
Inizialmente, però, alla cooperativa aderirono 30 dei 60 ex dipendenti: “col supporto del commissario del tribunale abbiamo iniziato a parlare con tutti quelli che non volevano entrare dentro la cooperativa. Alcuni accettarono il bonus erogato dal tribunale, altri andarono in prepensionamento. Ad altri ancora mancava un anno/un anno e mezzo per il pensionamento e ci sarebbero arrivati con la CIG. Ci prendemmo l’impegno di assumere da subito come dipendenti altri 5 che non intendevano aderire come soci e di fare lo stesso con tutti gli altri nel corso del primo anno della cooperativa. È stata una trattativa molto complicata, anche perché la Legacoop aveva posto 3 condizioni: - che i vecchi padroni non venissero coinvolti nell’operazione (visto che avevano cercato di rientrare nel menagmenet); - riportare l’orario di lavoro da 37 a 40 ore per aumentare la produttività; - l’80% dello stipendio fisso e 20% dello stipendio variabile: quest’ultima condizione non è stata accettata dal sindacato, quindi i dipendenti non soci continuarono a ricevere il 100% dello stipendio”.
I sindacati inoltre non hanno mai firmato un accordo sull’orario di lavoro, che prevedeva di tornare alle 40 ore (peraltro previste dal contratto nazionale): “Il contratto d’affitto del ramo d’azienda prevede che i salari restino tali, ma non avendo davanti un imprenditore il sindacato poteva anche capire il sacrificio anche di noi lavoratori diventati soci”.
Ora il sindacato è diventato più sensibile al tema WBO: “In tutti questi anni noi abbiamo posto sempre la continuità del lavoro come una questione prioritaria, evitando la cassa integrazione nonostante momenti di grande difficoltà. Durante la pandemia appena siamo riusciti a ripartire attivando un forno anziché due per far avere il salario a tutti i soci e dipendenti”.
Per ripartire vennero trovate tre società commerciali con altrettante proposte commerciali, che servirono a convincere CFI e Coopfond del successo che avrebbe atteso la ripartenza dell’attività produttiva: le società commerciali entrarono come soci finanziatori dentro il capitale della coop (mettendo 200.000 euro ciascuno).
Grazie a Legacoop siamo stati messi in contatto anche con Ccff. Si tratta di passaggi fondamentali, perché consentirono alla cooperativa di approvvigionarsi di materie prime necessarie alla ripartenza della produzione. Dapprima vennero affittati il ramo d’azienda e l’immobile. Entrambi sarebbero stati acquisiti dopo due anni e la cooperativa avrebbe investito anche 23 milioni di euro in nuovi macchinari.
La nascita della cooperativa ha comportato una riorganizzazione delle responsabilità interne in forte continuità con le mansioni precedentemente svolte dai vertici dalla cooperativa: “Io mi sono messo a fare il Presidente e a curare i rapporti coi clienti, il rapporto col personale e il controllo di gestione. Il capoufficio amministrativo è diventato amministratore delegato per l’area amministrativa. L’attuale Vicepresidente prima lavorava nell’area della produzione e ricerca e sviluppo è rimasto l’amministratore questa area”.
Gli attuali 19 milioni di euro di fatturato della Greslab sono dovuti alla capacità di diversificare il prodotto e di ampliare il bacino dei clienti nel corso degli anni: “Non abbiamo un marchio nostro. Noi non vendiamo direttamente al mercato, lavoriamo come conto-terzisti per molti committenti. Per aumentare capacità produttiva dobbiamo potenziare ulteriormente lo stabilimento, ma ora siamo in una situazione di equilibrio, dovremo rinunciare a qualche committente perché siamo al massimo della nostra capacità produttiva.”
La cooperativa aderisce tuttora alla Legacoop, che negli anni ha coinvolto in maniera crescente il suo Presidente Antonio Caselli negli organi locali e nazionali, anche per consigliare altri lavoratori alle prese con l’ipotesi di dar vita a una nuova cooperativa per salvare il loro posto di lavoro. Durante il Covid la cooperativa ha continuato a investire e ciò le ha consentito di acquisire nuovi clienti che prima non avrebbe intercettato: “Le piastrelle di 90x90 prima non le riuscivamo a fare, ora sì”. Avendo sostenuto tutti questi investimenti, la cooperativa necessita di un flusso di cassa molto alto, per cui gli utili non sono molto alti.
Il problema principale oggi riguarda il rincaro delle forniture. Nel caso della Greslab le forniture principali provengono dai due protagonisti della guerra in corso: l’argilla (acquistata dall’Ucraina) e il gas (dalla Russia). Per fortuna la cooperativa due anni fa decise di fissare il prezzo del gas fino a settembre 2023 a un costo di 20 centesimi a m3: “ora costa un euro: noi acquistiamo un milione di euro all’anno. Fatti un po’ i conti...Se non lo avessimo fissato oggi spenderemmo 5 milioni di euro. L’energia elettrica invece l’avevamo fissata solo a metà perché non eravamo pienamente soddisfatti del prezzo e ora rimpiangiamo la scelta perché siamo un’azienda molto energivora. La miscela delle terre (atomizzato) dove c’è 20 % di argilla veniva pagato 76 euro alla tonnellata, oggi costa 115 alla tonnellata e ne consumiamo 55.000 tonnellate in un anno. Abbiamo quindi aumentato produzione del 15% e altrettanto i listini per ritrovare equilibrio”.
Quando domando ad Antonio come sia organizzata internamente la cooperativa, la sua affabilità si colora di entusiasmo: “Abbiamo una forte componente femminile e molti giovani: negli uffici ci sono pochi impiegati, quasi tutte donne sotto i 30 anni che si stanno assumendo molte responsabilità. Vengono i ragazzi delle scuole a fare gli stage e abbiamo provato a inserirne diversi in fabbrica, ma fanno molta fatica (soprattutto ad alzarsi al mattino): il lavoro in fabbrica, pur essendo molto qualificato, è diventato poco attrattivo. Quelli che decidono di restare, però, trovano grandi possibilità di crescita”.