Luis Calzaturificio
La cooperativa Luis Calzaturificio ha una storia lunga 34 anni: incastonata nella frazione di Monterado presso Trecastelli, in una zona dove la cantieristica ha sempre prevalso, la cooperativa venne fondata nel 1988 da undici ex dipendenti di un’azienda a conduzione familiare, che fallì in quello stesso anno. Costituirono il capitale sociale della cooperativa grazie al loro TFR e ai fondi della Legge Marcora, entrata in vigore appena due anni prima. L’attività produttiva venne ripresa in “un pollaio”: “quando la mattina entravano nella sede della cooperativa, i soci trovavano spesso delle uova dentro i calchi delle scarpe”. Solo nel 1992 venne costruito un nuovo capannone di 1000 metri quadri, ulteriormente ampliato nel 2008 con altri 1400 metri quadrati distribuiti su due piani.
A raccontare quegli anni è Nadia Pedini, socia della cooperativa dal 2000 e Presidente dal 2005 al 2017: da undici i soci passarono a 22 nel 2000, coerentemente alla vocazione della cooperativa ad allargare progressivamente la base sociale mantenendo il criterio della mutualità permanente (circa il 60% del personale lavoratore è socio). A questa crescita contribuì anche il fallimento di un altro calzaturificio nella zona, di cui la Luis rilevò la linea (la “manvia”): a quei tempi il numero totale del personale coinvolto (fra soci e dipendenti) ammontava a quasi una settantina. Oggi il numero complessivo del personale coinvolto è di 49 persone fra soci (29 in totale) e lavoratori e lavoratrici. In tutti questi anni la cooperativa ha continuato a lavorare come contoterzista, anche grazie al sostegno finanzairio di Coopfond e di Foncooper della regione Marche. La cooperativa aderisce tuttora alla Legacoop, anche se la mia interlocutrice non nasconde il progressivo indebolimento politico della centrale cooperativa e la perdita di competenza registrata negli ultimi anni. Un contributo decisivo allo scarso senso cooperativo fotografato da Nadia è stato dato dalle misure introdotte nel 2020 a seguito dello scoppio della pandemia: i soci e le socie hanno dovuto chiudere lo spaccio appena aperto. Il rincaro dei prezzi delle materie prime e, soprattutto, dei costi energetici rischia di diventare fatale: solo due dei 49 lavoratori e lavoratrici è ancora operativo, mentre gli altri hanno richiesto la cassa integrazione ordinaria (dopo aver fruito della CIG fra 2021 e 2022).