So.c.a.m
La So.c.a.m. (Società Cooperativa Arredi Metallici) nasce nel 1986, a seguito del fallimento della Calfer s.n.c. Sono mesi di sacrifici, cassa integrazione, licenziamenti. Le trattative con i sindacati si rivelano vane, dato il livello di indebitamento complessivo della società. Un gruppo di dipendenti però non si arrende all’idea di perdere il posto di lavoro: il fallimento dell’azienda non era dovuto, infatti, a una crisi della domanda, ma alla mala gestio della proprietà. Benché la produzione fosse stata arrestata da mesi, quei lavoratori e quelle lavoratrici continuano a riunirsi e a discutere per trovare una soluzione.
La svolta arriva quando il commercialista e l’avvocato con cui sono in contatto gli operai suggerisce di avvalersi della legge n. 49/1985, meglio conosciuta come Legge Marcora. Così il 20 maggio 1986 un gruppo di 35 soci (tutti operai del territorio, su 80 ex dipendenti) costituisce con atto notarile la So.c.a.m. e reinveste nel capitale sociale il TFR e parte dei loro ultimi stipendi non ancora percepiti.
Furono loro a contattare un ex dirigente per poter integrare funzioni dirigenziali all’interno della neonata cooperativa. Quel dirigente era il padre di Sara Di Gregorio, l’attuale Presidente della cooperativa che mi aiuta a ricostruire la storia di questa storica impresa recuperata.
Ci vollero 3 anni per avviare la cooperativa. Ci fu un aiuto dei sindacati (uno dei soci fondatori faceva parte della UILM). Paradossalmente, invece, Legacoop Campania non si rivelò molto utile: gli operai bussarono alle porte della sede locale, ma non furono sostenuti come si aspettavano. Allora le centrali cooperative non avevano ancora le competenze e la sensibilità per affiancare i processi di recupero cooperativistico, secondo Sara. Anche per questo mancato appoggio la cooperativa ha aderito alla Legacoop solo dopo l’esperienza formativa e professionale accumulata da Sara Di Gregorio all’interno del mondo cooperativo. In quegli anni Sara poté apprezzare il senso e lo spirito del movimento cooperativo e mutualistico del nostro paese, che oggi stenta a riscontrare nelle istituzioni che dovrebbero farsene portavoce: burocratizzazione e mercatizzazione del movimento cooperativo rischiano infatti di prendere il sopravvento sullo spirito mutualistico che dovrebbe ispirare le centrali cooperative e Coopfond.
Uno dei principali ostacoli incontrati nel processo di recupero cooperativistico dell’azienda fu il rapporto problematico con la curatela fallimentare, che fece di tutto per ostacolare la formazione della cooperativa. I soci, però, non si diedero per vinti: quando gli immobili dell’azienda furono messi all’asta, i manifesti affissi per annunciarla vennero tolti uno a uno dagli operai. In questo modo fecero andare deserta l’asta per due volte, il valore dell’immobile si ridusse e il signor Di Gregorio riuscì a convincere il curatore a facilitare il passaggio alla cooperativa. In quei mesi alcuni giovani operai dormirono anche nello stabilimento, pur di evitare lo smontaggio e il trasferimento delle macchine.
CFI intervenne nel 1986 sul capitale sociale (sarebbe rimasta nel CdA della cooperativa fino al 2014, a seguito di un successivo rifinanziamento, dopo quello iniziale). Il piano di ammortamento per rientrare dalle quote di CFI attualmente impedisce alla So.c.a.m di accedere a canali di finanziamento agevolati inseriti nelle ultime leggi di bilancio.
Dopo aver esercitato il diritto di prelazione, la cooperativa ha acquistato completamente l’immobile dello stabilimento. Trova ulteriormente conferma l’ipotesi che la proprietà degli immobili si configura come un’arma a doppio taglio per le imprese recuperate: la proprietà degli immobili da una parte consente di ricevere credito dagli istituti bancari, ma dall’altra rischia di diventare un fardello oneroso per gli elevati costi fissi (nel caso della So.c.a.m. 12000 mq + nuovo terreno acquistato successivamente di 5000 mq). Si tratta, inoltre, di un patrimonio immobiliare difficilmente vendibile (per questo è diviso in 3 cespiti separati).
Negli anni Ottanta e Novanta il mercato nazionale e internazionale era molto florido: c’è stata un’epoca in cui venivano rifiutati ordini e ci si attestava sui 3,5 mln di euro di fatturato annuo. Questa scelta di scala ha consentito alla cooperativa di fronteggiare con una certa elasticità le situazioni critiche con cui avrebbe dovuto fare successivamente i conti: all’inizio degli anni Duemila la cooperativa ha registrato un calo significativo della domanda estera (soprattutto araba), anche e soprattutto a seguito della guerra in Iraq e in Afghanistan e della concorrenza internazionale a basso costo di colossi come la Cina.
Fu acquistato il terreno di 5000 mq in vista di un eventuale ampliamento nel 2008, ma fu fermato tutto a seguito delle prime avvisaglie della crisi economico-finanziaria (il mutuo concesso di 2 mln di euro per la costruzione del capannone fu rifiutato).
Attualmente la cooperativa conta la presenza di 18 addetti, di cui 9 soci e socie. “Negli ultimi 2 mesi sono andati in pensione 2 soci fondatori e negli ultimi 2 anni altri 4 o 5. Stanno subentrando le nuove generazioni, alcuni figli e alcuni nuovi arrivati ai quali stiamo cercando di trasmettere l’idea di cooperativa e che spero diventeranno presto i nuovi soci della Socam”. I dipendenti si apprestano quindi a diventare soci/e, nel pieno rispetto del principio della mutualità prevalente della cooperativa. “Senza questo spirito oggi non saremo qui”, ribadisce Sara: la So.c.a.m. è una delle storiche imprese recuperate del nostro paese e la sua storia trentennale è stata resa possibile proprio da questo spirito che ha ispirato i suoi soci fondatori e che viene tuttora alimentato dalla nuova generazione. “Lavorare con i propri genitori e portare avanti un’eredità pesante non è facile, ma essere cooperativa, di nome e di fatto, ci è di grande aiuto, soprattutto in un momento storico in cui il mercato non aiuta”.